Vi siete mai chiesti quali siano le differenze tra anoressia femminile e anoressia maschile? Vediamo il punto di incontro tra i due modi diversi di manifestare la stessa problematica.

Diverse sono ad oggi le teorie che spiegano l’insorgenza delle sue forme psicopatologiche ed il trattamento più adeguato per curarle.

Classicamente definita dal Manuale Diagnostico e Statistico dei Disturbi Mentali come disturbo alimentare caratterizzato da alterata percezione della propria immagine corporea e del peso, l’anoressia è stata inquadrata a partire dalla seconda metà dell’Ottocento proprio come alterazione dell’immagine corporea ed eccessiva preoccupazione per il peso ed il cibo.

Le più recenti teorie circa questa patologia muovono invece verso una modalità di costruzione dell’identità eterodiretta: in personalità così definite predominerebbe pertanto la necessità di sintonizzarsi sull’altro per avvertirsi ed individuare se stessi. L’altro deve costantemente essere presente nella loro vita, per darle un senso. Ecco dunque che quando l’altro viene a mancare o qualcosa della va estremamente storto, l’unica via per mantenerci vivi è spostare l’attenzione interamente sul proprio corpo, un nuovo polo di sintonizzazione, controllando l’apporto calorico, mantenendosi affamati o praticando sport fino all’esasperazione.

Il corpo diventa quindi l’unica via di accesso a noi stessi.

In questi termini risulta più semplice comprendere la forma maschile di anoressia, conosciuta anche come vigoressia, bigoressia, o anoressia riversa e comunemente definita come disturbo dell’alimentazione opposto all’anoressia nervosa femminile in quanto la forma del copro “finale” non è caratterizzata da magrezza estrema, bensì da eccessivo incremento della massa muscolare.

Alla luce di quanto finora detto comprendiamo allora lo sfondo comune delle forme patologiche femminile e maschile: anche nell’uomo emerge la necessità di tornare al proprio corpo, concentrandosi integralmente sulla sensazione fisica prodotta dal sollevamento pesi estremo o da interminabili km di corsa, accompagnati dall’ossessione per un’alimentazione iperproteica che non mini il raggiungimento dell’obiettivo “muscolatura”.

È molto importante per chi soffre di questa problematica, affidarsi ad un terapeuta esperto con il quale lavorare alla comprensione dei motivi che lo hanno portato alla sofferenza e alla necessità di volgersi patologicamente al proprio corpo; è importante inoltre un lavoro che non miri esclusivamente all’eliminazione del sintomo, ma ad un profondo cambiamento nei propri modi di fare esperienza e quindi vivere.